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40 ANNI FA USCIVA ‘IL PORTIERE DI NOTTE’











Liliana Cavani alla regia, Dirk Bogarde e Charlotte Rampling di nuovo insieme dopo La caduta degli Dei di Luchino Visconti...un caso? Si pensa di no,
anche per la scelta dei costumi di Piero Tosi, collaboratore dello stesso Visconti.
il 3 aprile di 40 anni fa usciva nelle sale Il portiere di notte; superate le censure trova spazio anche oltreoceano, la regista emiliana trova fama e successo ai botteghini e resta il suo film più conosciuto ancora oggi.
Dissacrante, perverso e crudo, molto criticato e criticabile. Mostra i due aspetti che regnano sovrani dentro di noi, quello della vittima e del suo carnefice, il tutto riportato e costruito in uno dei momenti più terribili e disperati della storia: la seconda guerra mondiale ed il nazismo.
Siamo a Vienna, è il 1957, la guerra è finita ma in una grigia Vienna il ricordo sembra inondare la città come nebbia fitta. Un portiere di un grande albergo, Max, dedito al lavoro, ex nazista, redime il suo senso di colpa occupandosi dei clienti dell’hotel, silenzioso e concentrato, si sottopone a interrogatori da parte degli ex nazisti per essere in  grado di affrontare il processo per il quale potrebbe essere condannato. 
 Lui e gli ex camerati si ritrovano e fingono un processo, rimpiangendo il tempo del fuhrer, affrontando l’incubo di una possibile condanna. Ma la vita si sa, è piena di sorprese; arriva in hotel una bellissima signora, sposata con un  direttore dell’orchestra.  Lucia lo vede subito e subito ricorda il volto di quell’uomo che l’aveva violentata nei campi di concentramento. E lei quasi devota, era stata la sua carnefice. Un rapporto che ritorna in vita quello tra lei e Max e che li conduce in un turbine di sadomasochismo e perversione. Lui lascia l’hotel , lei inventa una scusa al marito per non tornare a casa e restare a Vienna. Prendono una stanza d’albergo e lì danno libero sfogo alle loro perversioni, a questo sentimento che distrugge e  rende avidi, che strazia e massacra ogni forma di sentimento e razionalità. Tra i due si scatena di nuovo quello stesso rapporto tra vittima e carnefice. Lei soccombe e sembra godere della sua sottomissione, lui è attratto e perfido. Si distruggono. Gli ex-nazisti sono sempre più tesi e preoccupati per questa situazione, Lucia è infatti una testimone e come tale potrebbe far crollare tutto quello che avevano pianificato, se al processo lei dovesse testimoniare non ci sarebbe più via d’uscita: tutti sarebbero condannati. Ma Lucia e Max non conoscono già da molto vie d’uscita, si rinchiudono nell’ appartamento, circondati da orrore e violenza.

Decidono di uscire, si rimettono i vecchi vestiti, gli stessi che avevano chiaramente contraddistinto la loro posizione, la loro situazione all’interno del campo di concentramento. Al mattino si incamminano nella città ancora addormentata, al ponte sul Danubio,  verso il loro 'plotone di esecuzione’. Scene che rimangono nella storia del cinema, come quella dove  Lucia,  seminuda, con soltanto le bretelle che le coprono i seni, ed il cappello da ufficiale, canta in mezzo ai nazisti;  loro due nell’albergo,  lui che le tira i capelli, distesi sui giornali, lei lo prende, i ruoli si capovolgono, la perversione persiste.
Questo film a volte sembra non avere colore, ha i colori dell’ombra, sembra un sogno rivissuto, un sogno da dimenticare ma che fa riflettere, è surreale. Liliana Cavani affronta un tema molto delicato dove non solo si parla di guerra, ma soprattutto si parla di come  questa si  riflette nella psiche umana. Una malattia dalla quale non si può guarire.









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